Udienza al principe di Danimarca | Io sono. Solo. Amleto
Marco Cacciola, interprete e autore di Io sono. Solo. Amleto, si muove sul telo bianco come un pesce lanterna in fondo all’oceano. Regge un’asta, dotata di microfono e torcia, si sporge in platea e pone a noi spettatori, in un’atmosfera sospesa, una domanda: «Qual è il tuo nome?», quasi stesse parlando a un personaggio e non più a un essere umano venuto in teatro per assistere allo spettacolo. Alcuni rispondono: «sono io», altri tacciono intimiditi da uno slancio così precoce e inaspettato.
Il drammaturgo si siede, si mette al pc e inizia a scrivere. Ciò che digita compare dietro di lui, proiettato sullo sfondo nero. Ci fa assistere alla genesi dei suoi personaggi: nascono sulla carta e poi prendono forma, si fanno carne sulle assi del palcoscenico per mezzo dell’attore. Il dialogo col fantasma del padre, che chiede al figlio di essere vendicato, come nell’opera originale, è il motore dell’azione. Progressivamente, però, il dramma shakespeariano passa in secondo piano, la figura di Amleto si cuce addosso all’interprete, il groviglio della trama si sfilaccia e ogni personaggio emerge come un filo a sé stante. Il corpo dell’attore si veste di quel filo e, di volta in volta, come un fantoccio, dialoga e dà vita, egli stesso, agli altri personaggi: il Padre, Ofelia, Laerte, Polonio, persino l’usurpatore Claudio.
Cacciola inventa le regole per un gioco in cui l’attore è in continuo dialogo con sé stesso e col pubblico. Cambiano i personaggi che interpreta, ma in fondo resta sempre e solamente lui, Amleto. Non si accontenta di rompere la finzione scenica, ma oltrepassa i confini, ricercando una sorta di familiarità con chi partecipa. Quando l’attore interpella direttamente il pubblico, crea un momento di distensione, di comunanza, aprendo una sorta di intermezzo tra primo e secondo tempo. Offre da bere e da fumare, moltiplica birra e sigarette, dona caramelle quasi fosse una nonna con i suoi nipoti, ma anche il cacciatore con la preda: siamo prede nelle mani dell’autore? Ci irretisce per portarci nella sua mente? Finge di esserci amico per poter rapire le nostre parole e trascriverle all’interno del suo gioco polifonico? Ci chiede un aiuto per riuscire a vendicare il padre?
Le proiezioni video e la registrazione dei suoni generano una drammaturgia visiva e sonora estemporanea capace di catturare direttamente ciò che accade in sala, mescolandolo con la tragedia shakespeariana. Marco Mantovani non si limita a tessere l’accompagnamento musicale aprioristicamente: ogni suono, sussurro, gemito emesso dal pubblico, ogni parola pronunciata da Amleto-Cacciola, viene registrata e raccolta attraverso un microfono ambientale. Un’enorme mole di dati che, infine, viene sintetizzata in una composizione riassuntiva e riproposta a velocità aumentata, in cui pubblico, attore e ambiente si fanno mezzo nelle mani del compositore.
«È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle». Come Pirandello, così Cacciola, nel corso di ogni replica, dà udienza a noi e ai suoi personaggi, confondendo confini e differenze tra uno e l’altro. Li ascolta – ci ascolta – e cerca di mettere d’accordo le istanze di tutti: gli spettatori, ognuno con la sua individualità, sono portatori di uno spaccato di verità che irrompe nella messinscena; Ofelia è una donna in un mondo di uomini a cui viene sottratta la parola, l’unico modo per esprimersi diventa quello di togliersi la vita per ottenere anche solo una parvenza di considerazione, Polonio racconta le sue ansie di padre, il suo desiderio di controllo sulle scelte dei figli. Nell’alternarsi delle diverse voci dei personaggi, Cacciola inserisce rimandi espliciti al processo creativo che conduce l’autore alla loro ideazione: creatore e creatura sono saldati insieme nello stesso corpo.
Cosa implica l’essere figlio, nato dal genio del drammaturgo, e allo stesso tempo padre, l’autore stesso? Io sono. Solo. Amleto riflette sulle responsabilità che questa doppia natura comporta, portandola al centro della riscrittura dell’originale shakespeariano.
L’Amleto ha subito negli anni numerose rielaborazioni e adattamenti, ha attraversato i secoli continuando a istituire un dialogo con generazioni differenti, raggiungendo lo status di opera transmediale. Nella rilettura che ne fa l’attore piacentino, coadiuvato nella stesura dei testi da altri tre drammaturghi (Lorenzo Calza, Marco Di Stefano, Letizia Russo), «siamo noi a essere Amleto: sopraffatti dal pensiero e impossibilitati all’azione». Per Marco Cacciola, tutti noi siamo Amleto, come lui vorremmo poter dare molto più spazio al pensiero e prenderci un tempo necessario e sufficiente per la riflessione, in un mondo sempre più veloce che ci vuole invece pronti all’azione.
Tommaso Quilici
in copertina: foto di gialloinsieme
IO SONO. SOLO. AMLETO
di e con Marco Cacciola
drammaturgia a cura di Marco Cacciola e Marco Di Stefano
con testi originali di Marco Cacciola, Lorenzo Calza, Marco Di Stefano, Letizia Russo
audio live e video Marco Mantovani
luci Fabio Bozzetta
assistente alla regia Carlotta Viscovo
produzione e distribuzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
si ringrazia InBalia / Residenza IDra / Manifattura K
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Sguardi da Canile Drammatico